Francesco Caruso
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È una delle numerose strutture idrauliche meglio conservate che fin dal medioevo furono edificate lungo gli alvei dei torrenti Prantari e Greto. Il funzionamento è riconducibile al tipo greco-calabrese, con asse verticale e ruota orizzontale. La struttura idraulica utilizza ancora l’acqua proveniente da un canale (gora) che capta l’acqua all’ estremità superiore (prisa), nel punto di confluenza con il corso d’acqua.
Nell’insieme si distinguono cinque elementi: 1- la gora in terra; 2- l’acquedotto (ponte-canale); 3- la saitta; 4-il vano di rotazione (schjicchju); 5-il vano di macina.
La gora in terra è un canale lungo 500 m (gora) compreso tra la saitta e la prisa. Realizzato con lieve inclinazione lungo una curva di livello, convoglia l’acqua necessaria al funzionamento del mulino.
Acquedotto (ponte-canale). Il ponte-canale è il tronco terminale della gora delimitato da spallette laterali. E’ collegato al punto superiore della saitta con un sistema di arcate in muratura.
3- La saitta appare all’esterno come una sorta di torre alta dieci metri, con ampia e possente base per resistere alla pressione dell’acqua; l’interno è una cisterna a cono rovesciato. Rivestita di blocchi in pietra lavorata e disposti in forma cilindrica, a diametro decrescente, presenta una sezione di pochi centimetri nel punto in cui si innesta alla camera di rotazione (schjichjju). Nel punto più alto si apre il pozzo circolare largo più di un metro, dal quale l’acqua, a caduta, riempie il cono interno, il cui stretto fondo è sigillato da un blocco di pietra squadrata (cannedaru) con boccaglio metallico (canneda)
4- Camera di rotazione (schjicchjju). L’ambiente, piuttosto angusto, presenta la volta (làmia), alta un metro e mezzo e lunga due; l’arco di deflusso dell’acqua presenta un diametro di un metro e mezzo. La ruota è azionata da un forte getto d’acqua che fuoriesce dal boccaglio (cannedaru), la cui forza è regolata da cannelli metallici di diversa misura e quindi adeguati alla portata del torrente. Nei periodi di magra si usano i cannelli con sezione piccola; al contrario, quando la portata è notevole, quelli con la sezione più larga. I raggi della ruota (pinniedi), investiti dai getti d’acqua, imprimono una forza tale da far girare la macina soprana, collegata alla ruota del mulino per mezzo di un asse verticale. La macina di sopra è, dunque, mobile, quella di sotto è fissa. L’estremità superiore dell’albero (fusu) è inserita in un incastro praticato nella parte inferiore della macina superiore (‘e supa). Il fusu poggia sul piede del mulino con una punta ben temprata, allocata in una piastra. Nel vano (schjicchjju) è collocato anche un regolatore di distanza tra le due macine (viti), utilizzato per produrre diverse qualità di farina. E’ costituito da un asse di ferro, sostenuto da una traversa di legno ortogonale a quella che sostiene il fuso della macina mobile. Il congegno è azionato da una vite posta al piano di molitura. Tramite una manopola collegata al vano sottostante (schjicchu) il mugnaio poteva deviare il getto e arrestare il moto delle macine.
5- Il vano di macina. Nel vano di macinazione sono allocate le macine e la trimoja. In genere le macine erano realizzate in pietra granitica locale. Le migliori erano quelle importate da la Fertè sous Tonnarre (Francia)-(pietri francesi). Quando le mole si lisciavano a causa del continuo sfregamento, venivano rigenerate con l’aguzzatura. La trimoja è il contenitore dentro il quale si versano i cereali per essere macinati. La parte inferiore presenta un’apertura dalla quale i cereali (vittajju) cadono nella canaletta grazie alle vibrazioni che la battola (gattaredha), a contatto con la macina mobile, trasmette alla canaletta (civaturi), posta sotto l’apertura inferiore della tramoggia. La canaletta è sostenuta ad un’estremità da una corda che, mediante una manopola (mandaliedu) sistemata nella parte superiore della tramoggia, regola l’inclinazione della canaletta medesima, quindi il deflusso dei cereali nell’apertura circolare della macina (uocchjju da’ macina)